Genova – Potrebbe essere stata la frequentazione con la moglie insegnante in una scuola di Sampierdarena ad aver tradito Pasquale Bonavota, il boss della Ndrangheta calabrese arrestato dai carabinieri dopo anni di latitanza.
L’uomo aveva infatti trovato casa nel quartiere di San Teodoro, dove viveva sotto una falsa identità ma potrebbe aver incontrato spesso la moglie che invece lavora come insegnante in una scuola del quartiere di Sampierdarena. Incontri che potrebbero essere costati il carcere all’uomo, ricercato da anni e mai finito nelle maglie della rete della Giustizia.
Quando è stato fermato, all’interno della cattedrale di San Lorenzo, stava pregando e i militari si sono qualificati e gli hanno chiesto i documenti.
Bonavota ha mostrato una carta di identità di una persona realmente esistente ma con la fotografia sostituita con la sua. Dettagli ora al vaglio degli inquirenti che sospettano che, come nel caso del boss Matteo Messina Denaro, vi fosse una fitta rete di fiancheggiatori e persone più o meno consapevoli, a garantire la latitanza.
Il boss ha anche tentato di convincere i carabinieri che stavano commettendo un errore di persona ma poi ha ammesso di essere la persona che stavano cercando.
Nell’abitazione del boss della Ndrangheta sono stati trovati circa 20mila euro in contanti e diversi documenti intestati a persone esistenti ma con le fotografie sostituite con quelle del latitante che così aveva linee telefoniche intestate e poteva muoversi con una certa “libertà”.
Tutti elementi ora al vaglio per identificare e assicurare alla Giustizia la rete di fiancheggiatori e complici sui quali Bonavota ha potuto fare affidamento.
Grazie alle utenze telefoniche scoperte sarà anche possibile accertare con chi aveva rapporti il Boss durante la sua lunga latitanza.