Roma – C’è anche uno scienziato italiano nel gruppo di ricerca internazionale sul virus Zika. Si tratta di Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto per le malattie infettive Angelo Spallanzani di Roma. “Siamo contenti di mettere al servizio le nostre conoscenze nella risposta internazionale alla pandemia – ha dichiarato Ippolito -. Il nostro Istituto ha avviato un progetto di collaborazione con i colleghi della Slovenia e del Brasile per studiare la patogenesi dell’infezione da virus Zika: non vediamo l’ora di condividere le nostre scoperte con gli altri membri della task force”. Il team di esperti è stato istituito dal Global Virus Network, e sarà guidato dallo statunitense Scott Weaver, co-presidente del team contro la Chikungunya e direttore del dipartimento malattie infettive della University of Texas Medical Branch di Galveston. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha intanto lanciato un piano d’azione da qui a giugno che prevede lo stanziamento di 56 milioni di dollari per studiare vaccini e test rapidi. Dagli Stati Uniti sono arrivati risultati incoraggianti da test condotti sui topi, ma si prevede che un vaccino contro Zika non sarà disponibile prima di 18 mesi. “Il possibile legame con complicazioni neurologiche e malformazioni alla nascita (microcefalia, ndr) – afferma Margaret Chan, direttore generale dell’Oms – ha cambiato rapidamente il profilo di rischio di Zika, da una minaccia trascurabile a una di serie proporzioni”. In Brasile sono saliti a 508 i casi di microcefalia. Nonostante il legame con il virus Zika non sia ancora stato ufficialmente trovato, è stato definito “molto probabile” da Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità. Nel nostro paese i casi registrati sono fin’ora solo 10, e la facilità di programmare la gravidanza rendono il virus molto meno temibile che in America Latina, epicentro della malattia. Tuttavia, lo stesso Rezza invita a “evitare viaggi nei paesi tropicali”. Negli Stati Uniti è stata vietata la donazione del sangue a chi torna da quelle zone per almeno 30 giorni, in particolare a chi ha avuto rapporti sessuali nelle aree interessate, nonostante il virus si trasferisca più facilmente tramite puntura di zanzara.