Genova – Era l’11 gennaio de 1999 quando venne diffusa la notizia della morte di Fabrizio De André, scomparso ad appena 58 anni a causa di un tumore.
Il poeta degli ultimi, un musicista capace di raccontare la vita attraverso un equilibrio perfetto di testi e note ci lasciava troppo presto ma ci consegnava in eredità un modo di fare musica unico nel suo genere.
Esponente della Scuola Genovese, De André si può certamente definire uno dei grandi fautori del rinnovo della musica italiana e a pensarci, riascoltando i suoi brani, non sembrano passati 18 anni dalla sua morte.
Tutto è stato scritto su di lui ed ogni opinione, nonostante i molteplici punti di vista, converge nel definirlo universalmente uno dei più grandi cantautori italiani ed europei, in grado di influenzare fortemente le generazioni successive.
Attraverso le sue composizioni, ricche ed articolate ma avvicinabili dall’ascoltatore, si genera tutto un mondo nella mente che catapulta all’interno del brano di Faber, tanto da farlo vivere attraverso la sua esperienza.
Un esempio su tutti: in tantissimi, passeggiando per i vicoli di Genova, si saranno ritrovati a canticchiare alcuni passaggi della “Città Vecchia” se non altro per il fatto di ritrovarsi, improvvisamente “nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, come all’interno di una fotografia che ci regala il centro storico di cinquant’anni fa e che ce lo fa rivivere in tanti angoli immutati, quasi si creasse un continuo gioco tra musica e realtà.
Ma a colpire sopra ogni altra cosa nelle liriche è l’umanità che Faber manteneva all’interno dei suoi brani. La pietà verso le “vittime di questo mondo” (citando ancora proprio “Città Vecchia”) e lo sguardo bonario verso le mostruosità del mondo intorno a lui non fanno altro che esaltare la vera bruttezza, quella composta dal mondo borghese che si ripara negli ambienti da salotto. Proprio questo suo atteggiamento e le simpatie anarchiche e pacifiste lo fanno finire nel mirino dei servizi segreti.
La sua fortuna è partita dalla “Canzone di Marinella”, bellissima e struggente, viene interpretata da Mina regalando la notorietà a Fabrizio.
Tante, troppe le canzoni da citare o ricordare ma forse, seguendo anche il pensiero di altri, tutta l’opera di De André si può riassumere nel suo ultimo disco, “Anime Salve”, scitto insieme ad Ivano Fossati.
Nei brani che lo compongono sembra di leggere il preludio al distaccamento, all’anima solitaria raccontata che diventa libertà, fino ad arrivare a “Smisurata Preghiera” che chiude l’album, una preghiera per tutti coloro che lui ha sempre amato.
Un amore ricambiato anche dai tantissimi che, il giorno dei funerali, hanno affollato la basilica di Carignano. Oltre 10mila persone si sono strette intorno alla famiglia riempendo il piazzale della chiesa.
Sarebbe bello poter avere Faber ancora tra noi e leggere attraverso i suoi occhi la nuova società, che si impone profondamente diversa ma che mantiene tanti punti di stretta correlazione con il passato, solo con protagonisti inusuali.
Ma forse, per ricordare De André, il Faber come Paolo Villaggio lo chiamava da piccolo, la cosa più bella da fare è ascoltare alcuni dei suoi brani e lasciarsi accarezzare dagli strumenti che compongono la melodia, per poter apprezzare le profondità del testo del “poeta migliore che abbiamo mai avuto” come disse Fernanda Pivano.