Liste di attesa di anni per ottenere la presa in carico dalle Asl per le terapie necessarie ai bambini con sindrome dello spettro autistico, assoluta carenza di supporto per i genitori e caos organizzativo nelle poche strutture esistenti.
E’ drammatico il grido d’allarme lanciato nel giorno della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo dalle famiglie liguri alle prese con le difficoltà della malattia dei figli.
Liste di attesa per il riconoscimento della legge 104, liste di attesa di anni prima che le Asl prendano in carico e riconoscano le terapie necessarie ai bambini malati per non sprofondare nell’emarginazione e spese esorbitanti per cure private che dovrebbero essere coperte dalla sanità pubblica ed invece restano in carico ai genitori che decidono di non aspettare la presa in carico per non rallentare o peggio annullare i progressi che i loro figli possono fare con le corrette terapie (psicomotricità, logopedia, neuro-psichiatria) o per farsi sostenere con il “parental training” ovvero il supporto medico-psicologico per le famiglie che si trovano ad affrontare l’uragano di uno o più figli affetti da sindrome dello spettro autistico.
Il primo ostacolo è rappresentato dalla “diagnosi” ovvero dal riconoscimento medico di “qualcosa di anomalo” nello sviluppo neurologico del bambino.
In genere la sindrome si manifesta in tenera età, tra i due e i tre anni e mezzo, ma è all’arrivo a scuola, salvo i casi più gravi, che le famiglie “scoprono” le forme più lievi ma non meno debilitanti della malattia. In genere sono gli stessi insegnanti dell’asilo o della scuola primaria (elementare) a “suggerire” visite specialistiche. Non esiste al momento una figura medico-professionale addetta ad una prima valutazione direttamente negli asili e nelle scuole primarie.
Questo genera un primo effetto negativo perché i bambini con sindrome dello spettro autistico hanno maggiori possibilità di recupero quanto prima vengono aiutati con terapie di sostegno come la logopedia, la psicomotricità e molto altro ancora.
Inizia quindi con la “sentenza” della diagnosi il calvario di migliaia di famiglie. In Italia si calcola ci sia un bambino su 77 con la sindrome e si parla dunque di numeri enormi.
Il secondo calvario riguarda il “riconoscimento della legge 104” con i suoi due commi, il numero 1 e il numero 3, a seconda della gravità della compromissione.
L’iter burocratico presso le Asl è elefantiaco e barocco e ci si deve rivolgere ad un Caf per poter “snellire” le pratiche con invio di certificati – a pagamento – relazioni mediche e specialistiche – sempre a pagamento – e lunghe attese che spesso (lo denunciano le stesse famiglie) superano i tempi previsti per Legge.
In Liguria vi è poi l’ostacolo della “presa in carico” ovvero della autorizzazione da parte delle Asl delle terapie e cure. Tempi che arrivano a tre anni dalla richiesta-iscrizione nelle liste di attesa con effetti che possono essere devastanti sulla salute dei bambini e sulle tasche delle famiglie che quasi sempre scelgono di avviare provatamente le terapie con sedute che possono essere anche settimanali di logopedia, psicomotricità e supporto di professionisti per arte terapia, musicoterapia ed altre discipline che hanno un benefico effetto sullo sviluppo neurologico dei bambini con queste disabilità.
Somme ingenti che le famiglie si tolgono letteralmente di bocca e che una recente sentenza del Tribunale di Napoli ha riconosciuto come “da risarcire” da parte delle Asl che non rispettano le tempistiche della presa in carico.
Ma non solo i bambini disabili necessitano di aiuto e così, nelle Asl, le famiglie incontrano neuro-psichiatri che sono costretti a farsi in quattro per poter fissare incontri mensili quando sarebbero necessari incontri settimanali e plurisettimanali per aiutare persone magari con scarsa scolarizzazione e nessuna preparazione sanitaria a “gestire” il terremoto causato dalle difficoltà di crescere bambini che hanno specifiche necessità, spesso problemi molto gravi con socialità e persino a parlare e studiare.
Inoltre il “mercato privato” delle terapie si sta evolvendo rapidamente, anche perché è difficile negare il “business” delle cure e spesso i professionisti “pubblici” vengono richiamati a lavorare in strutture private dove vengono pagati meglio, possono lavorare in strutture organizzate meglio del pubblico e soprattutto con “ritmi” (inteso come numero di famiglie coinvolte) decisamente inferiore perché limitato dal “fattore economico”.
A Genova, poi, è stato creato un’innovativa struttura dedicata a questo tipo di interventi sanitari. Il cosiddetto “polo dell’autismo” è sorto nella zona del Lagaccio come unico punto di riferimento in una città lunga decine di chilometri e con scarsi collegamenti sia per i mezzi pubblici e sia per l’assoluta mancanza di parcheggi in una via già problematica sotto questo aspetto.
Nella struttura lavorano ottimi professionisti che hanno un contratto “annuale” ovvero lavorano per 365 giorni senza sapere se il loro contratto verrà rinnovato. In genere poi sono costretti ad una “sosta contrattuale” tra un rinnovo all’altro come se il loro lavoro non fosse indispensabile e strutturalmente integrato in un meccanismo che non può fare a meno del loro lavoro.
Anche in questo caso l’intervento di supporto si sviluppa sia sui bambini e sui ragazzi che sui genitori, con il cosiddetto “parental training” fondamentale per famiglie che non hanno la più pallida idea di come affrontare la disabilità dei figli e spesso sono essi stessi vittima di depressione, sensi di colpa e confusi da ricerche online e “passaparola” che sono i pilastri dello scambio di informazioni tra famiglie con gli stessi problemi.
Il supporto, però, incredibilmente, ha una “scadenza” di circa un anno. Ovvero dopo circa un anno di incontri mensili o più frequenti nei casi più gravi, i genitori vengono convocati e “salutati” con la “promessa” di futuri incontri che, in genere, restano lettera morta o prendono forma in modo sporadico e non certo efficace come potrebbe invece essere un percorso lineare.
Inoltre, proprio per la “precarietà” dei rapporti lavorativi, i professionisti che lavorano nel “Polo dell’Autismo” accettano incarichi in strutture private che, per i motivi di cui abbiamo già scritto, pagano meglio, offrono un futuro “più stabile” e spesso una carriera professionale che il pubblico difficilmente può eguagliare.
Un circolo vizioso alimentato dalla modalità di programmare gli interventi strutturali da parte degli amministratori pubblici e dal curioso “silenzio” delle associazioni che dovrebbero tutelare proprio i diritti dei disabili e delle loro famiglie.
Il pubblico che perde le sue professionalità migliori a favore del privato con cui in qualche modo “compete”.
In questo panorama di caos, circa 2.100 famiglie attendono, in lista di attesa, che i loro figli vengano presi in carico dalle Asl di competenza nella sola Liguria.
Un panorama sconsolante contro cui si battono i genitori meno “sconsolati e depressi” e il portavoce di molti di loro, Marco Macrì, vigile del fuoco, padre di un bambino con sindrome dello spettro autistico e tra i più accesi e determinati a contrastare le lacune sempre più evidenti del sistema ligure.
“Partendo dai più piccoli in attesa di terapie logopediche e psicomotorie – denuncia Macrì – ricordo che sono 2.100 in attesa e con una presa in carico tardiva di circa tre anni e una delibera regionale taglia del trenta percento le cure nel tentativo di “snellire” le liste d’ attesa creando artificialmente posti che non ci sono nelle strutture convenzionate che, a loro volta, criticano il provvedimento. Un danno dell’appropriatezza della cura che sempre più spesso sembra essere ridotto “a un giro in moto” aderendo alla demagogia della moto terapia, attività ludica con uno studio su 50 autistici su un bacino di oltre 660.000″.
“Passando poi all’inclusione scolastica – prosegue la denuncia di Macrì – che in questa regione arriva intorno a Natale ben due mesi e mezzo dopo l’inizio della scuola per poi passare al lavoro come la pubblicità a locali che fanno lavorare persone con disabilità legate all’autismo. Benemerite attività che sono però realtà private come le realtà che gli assessori sponsorizzano. Sembra che abbiano dimenticato la legge 68/99 e le sanzioni per le mancate assunzioni che solo negli ultimi dieci anni sono rimaste nelle casse della regione pari a 300 posti di lavoro”.
“Ricordiamo poi – prosegue il portavoce di tante famiglie con bambini disabili – che da dicembre ad oggi i tre milioni di voucher cura per le famiglie in attesa di cure declamati in pompa magna a dicembre non sono ancora stati regolamentati e messi nella disponibilità delle famiglie. È evidente che le dichiarazioni delle istituzioni non rispecchiano la realtà vissuta da coloro che sono direttamente colpiti da queste problematiche”.